CARLO GRANDE TORINO
Pare
incredibile che esista un collegamento tra un cinese che mangia una ciotola di
riso e un elefante che viene ammazzato dall’altra parte del mondo. Eppure
proprio la richiesta di bacchette d’avorio potrebbe far riprendere nei prossimi
mesi la strage di pachidermi. Alla riunione del Cites, la Convenzione sul
commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di
estinzione, che si è aperta ieri a Ginevra, la Cina preme per ottenere
l’autorizzazione a comprare avorio da alcuni Stati africani come Namibia,
Botswana e Zimbabwe. Da diciannove anni era stata imposta una moratoria. In ballo ci
sono oltre cento tonnellate d’avorio, 108 per la precisione; un business di
tutto rispetto, se si considera che al mercato nero giapponese e cinese le
zanne di elefante vengono pagate 750 dollari al chilo. La denuncia proviene da
alcune associazioni ambientaliste, tra cui l’Environmental Investigation Agency
(Eia), che attraverso il presidente Allan Thernton ha paventato il rischio di
un ritorno agli Anni Ottanta, quando gli elefanti africani passarono da un
milione e trecentomila esemplari a 625.000. Già i
pachidermi sono costretti a vivere in territori sempre più ristretti dal taglio
delle foreste e dall’espansione indiscriminata delle piantagioni: un’eventuale
ripresa degli abbattimenti potrebbe dar loro il colpo di grazia. Alla Cites,
dunque, il compito di verificare se esistono i presupposti per la vendita: nel
1997 quattro Paesi africani, Sudafrica, Namibia, Botswana e Zimbabwe,
convinsero la Cites ad autorizzare il commercio delle zanne di elefanti
deceduti per cause naturali. Due anni dopo la Convenzione autorizzò la vendita
di poco meno di 50 tonnellate di avorio solo ad «acquirenti autorizzati», cioè
a Paesi in grado di dimostrare il proprio impegno contro il commercio illegale.
L’unico Paese a cui venne riconosciuto tale status fu il Giappone. Non stupisce
dunque che la Cina, ora, sostenga di essersi impegnata molto nel contrastare il
traffico illegale di animali protetti: un funzionario della Cites ha
riconosciuto a Pechino di aver fatto importanti passi avanti nella lotta al
commercio illegale. Nonostante
le leggi, però, il traffico illegale continua. I principali acquirenti di
avorio, si legge in un «report» del Wwf svizzero, sono la Cina e Hong Kong, che
lo lavorano e rivendono. Spesso l’avorio illegale viene offerto su Internet. Il
prezioso materiale è commercializzato anche in Paesi dove non esistono
elefanti. Così, per esempio, l’avorio giunge in Egitto attraverso gli Stati
confinanti, come ad esempio il Sudan, una nazione in cui non viene effettuato
alcun controllo. Per lungo tempo l’Egitto è stato uno dei principali mercati di
scambio dell’avorio in Africa. Negli ultimi anni, grazie ai controlli delle
autorità, le vendite di questo materiale si sono drasticamente ridotte.
Ma il rischio di estinzione degli elefanti è sempre
in agguato. Non solo con la responsabilità dei cinesi: il traffico è alimentato
da turisti, faccendieri, residenti europei, nordamericani o dell’estremo
oriente e in qualche caso persino del personale di alcune ambasciate.
(http://www.lastampa.it/)
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