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Antoine de Saint-Exupéry - Il Piccolo Principe (capitoli 10-20 + PDF da scaricare)
Solo utenti registrati possono scaricare file [ Registrati | Login ] 12.07.2009, 05:37
« Primi IX capitoli   (Su questa pagina puoi scaricare il file PDF completo del libro)

X


Il piccolo principe si trovava nella regione degli asteroidi 325, 326, 327, 328, 329 e 330. Cominciò a visitarli per cercare un'occupazione e per istruirsi. Il primo asteroide era abitato da un re.
Il re, vestito di porpora e d'ermellino, sedeva su un trono molto semplice e nello stesso tempo maestoso.
"Ah! ecco un suddito", esclamò il re appena vide il piccolo principe. E il piccolo principe si domandò:
"Come può riconoscermi se non mi ha mai visto?"
Non sapeva che per i re il mondo è molto semplificato. Tutti gli uomini sono dei sudditi.
"Avvicinati che ti veda meglio", gli disse il re che era molto fiero di essere finalmente re per qualcuno. Il piccolo principe cercò con gli occhi dove potersi sedere, ma il pianeta era tutto occupato dal magnifico manto di ermellino. Dovette rimanere in piedi, ma era tanto stanco che sbadigliò.
"È contro all'etichetta sbadigliare alla presenza di un re", gli disse il monarca, "te lo proibisco".
"Non posso farne a meno", rispose tutto confuso il piccolo principe. "Ho fatto un lungo viaggio e non ho dormito..."
"Allora", gli disse il re, "ti ordino di sbadigliare. Sono anni che non vedo qualcuno che sbadiglia, e gli sbadigli sono una curiosità per me. Avanti! Sbadiglia ancora. È un ordine".
"Mi avete intimidito... non posso più", disse il piccolo principe arrossendo.
"Hum! hum!" rispose il re. "Allora io... io ti ordino di sbadigliare un pò e un pò..."
Borbottò qualche cosa e sembrò seccato. Perché il re teneva assolutamente a che la sua autorità fosse rispettata. Non tollerava la disubbidienza. Era un monarca assoluto. Ma siccome era molto buono, dava degli ordini ragionevoli.
"Se ordinassi", diceva abitualmente, "se ordinassi a un generale di trasformarsi in un uccello marino, e se il generale non ubbidisse, non sarebbe colpa del generale. Sarebbe colpa mia""
"Posso sedermi?" s'informò timidamente il piccolo principe.
"Ti ordino di sederti", gli rispose il re che ritirò maestosamente una falda del suo mantello di ermellino.
Il piccolo principe era molto stupito. Il pianeta era piccolissimo e allora su che cosa il re poteva regnare?
"Sire", gli disse, "scusatemi se vi interrogo..."
"Ti ordino di interrogarmi", si affrettò a rispondere il re.

"Sire, su che cosa regnate?"
"Su tutto", rispose il re con grande semplicità.
"Su tutto?"
Il re con un gesto discreto indicò il suo pianeta, gli altri pianeti, e le stelle.
"Su tutto questo?" domandò il piccolo principe.
"Su tutto questo..." rispose il re.
Perché non era solamente un monarca assoluto, ma era un monarca universale.
"E le stelle vi ubbidiscono?"
"Certamente", gli disse il re. "Mi ubbidiscono immediatamente. Non tollero l'indisciplina".
Un tale potere meravigliò il piccolo principe. Se l'avesse avuto lui, avrebbe potuto assistere non a quarantatrè , ma a settantadue, o anche a cento, a duecento tramonti nella stessa giornata, senza dover spostare mai la sua sedia! E sentendosi un pò triste al pensiero del suo piccolo pianeta abbandonato, si azzardò'a sollecitare una grazia dal re:
"Vorrei tanto vedere un tramonto... Fatemi questo piacere... Ordinate al sole di tramontare..."
"Se ordinassi a un generale di volare da un fiore all'altro come una farfalla, o di scrivere una tragedia, o di trasformarsi in un uccello marino; e se il generale non eseguisse l'ordine ricevuto, chi avrebbe torto, lui o io?"
"L'avreste voi", disse con fermezza il piccolo principe.
"Esatto. Bisogna esigere da ciascuno quello che ciascuno può dare", continuò il re.
"L'autorità riposa, prima di tutto, sulla ragione. Se tu ordini al tuo popolo di andare a gettarsi in mare, farà la rivoluzione. Ho il diritto di esigere l'ubbidienza perché i miei ordini sono ragionevoli".
"E allora il mio tramonto?" ricordò il piccolo principe che non si dimenticava mai di una domanda una volta che l'aveva fatta.
"L'avrai, il tuo tramonto, lo esigerò, ma, nella mia sapienza di governo, aspetterò che le condizioni siano favorevoli".
"E quando saranno?" s'informò il piccolo principe.
"Hem! hem!" gli rispose il re che intanto consultava un grosso calendario, "hem! hem! sarà verso, verso, sarà questa sera verso le sette e quaranta! E vedrai come sarò ubbidito a puntino".
Il piccolo principe sbadigliò. Rimpiangeva il suo tramonto mancato. E poi incominciava ad annoiarsi.
"Non ho più niente da fare qui", disse il re. "Me ne vado".
"Non partire", rispose il re che era tanto fiero di avere un suddito, "non partire, ti farò ministro!"
"Ministro di che?"
"Di... della giustizia!"
"Ma se non c'è nessuno da giudicare?"
"Non si sa mai" gli disse il re. "Non ho ancora fatto il giro del mio regno. Sono molto vecchio, ma c'è posto per una carrozza e mi stanco a camminare".
"Oh! ma ho già visto io", disse il piccolo principe sporgendosi per dare ancora un'occhiata sull'altra parte del pianeta. "Neppure laggiù c'è qualcuno".
"Giudicherai te stesso", gli rispose il re. "È la cosa più difficile. È molto più difficile giudicare se stessi che gli altri. Se riesci a giudicarti bene è segno che sei veramente un saggio".
"Io", disse il piccolo principe, "io posso giudicarmi ovunque. Non ho bisogno di abitare qui".
"Hem! hem!" disse il re. "Credo che da qualche parte sul mio pianeta ci sia un vecchio topo. Lo sento durante la notte. Potrai giudicare questo vecchio topo. Lo condannerai a morte di tanto in tanto. Così la sua vita dipenderà dalla tua giustizia. Ma lo grazierai ogni volta per economizzarlo. Non ce n'è che uno".
"Non mi piace condannare a morte", rispose il piccolo principe, "preferisco andarmene".
"No", disse il re. Ma il piccolo principe che aveva finiti i suoi preparativi di partenza, non voleva dare un
dolore al vecchio monarca:
"Se Vostra Maestà desidera essere ubbidito puntualmente, può darmi un ordine ragionevole. Potrebbe ordinarmi, per esempio, di partire prima che sia passato un minuto. Mi pare che le condizioni siano favorevoli..."
E siccome il re non rispondeva, il piccolo principe esitò un momento e poi con un sospiro se ne partì.
"Ti nomino mio ambasciatore", si affrettò a gridargli appresso il re. Aveva un'aria di grande autorità.
"Sono ben strani i grandi", si disse il piccolo principe durante il viaggio.

XI

Il secondo pianeta era abitato da un vanitoso.
"Ah! ah! ecco la visita di un ammiratore", gridò da lontano il vanitoso appena scorse il piccolo principe. Per i vanitosi tutti gli altri uomini sono degli ammiratori.
"Buon giorno", disse il piccolo principe, "che buffo cappello avete!"
"È per salutare", gli rispose il vanitoso. "È per salutare quando mi acclamano, ma sfortunatamente non passa mai nessuno da queste parti".
"Ah si?" disse il piccolo principe che non capiva.
"Batti le mani l'una contro l'altra", consigliò perciò il vanitoso.
Il piccolo principe battè le mani l'una contro l'altra e il vanitoso salutò con modestia sollevando il cappello.
"È più divertente che la visita al re", - si disse il piccolo principe, e ricominciò a batter le mani l'una contro l'altra. Il vanitoso ricominciò a salutare sollevando il cappello. Dopo cinque minuti di questo esercizio il piccolo principe si stancò della monotonia del gioco: "E che cosa bisogna fare", domandò, "perché il cappello caschi?"

Ma il vanitoso non l'intese. I vanitoso non sentono altro che le lodi.
"Mi ammiri molto, veramente?" domandò al piccolo principe.
"Che cosa vuol dire ammirare?"
"Ammirare vuol dire riconoscere che io sono l'uomo più bello, più elegante, più ricco e più intelligente di tutto il pianeta".
"Fammi questo piacere. Ammirami lo stesso!"
"Ti ammiro", disse il piccolo principe, alzando un poco le spalle, "ma tu che te ne fai?"
E il piccolo principe se ne andò.
Decisamente i grandi sono ben bizzarri, diceva con semplicità a se stesso, durante il suo viaggio.

XII

Il pianeta appresso era abitato da un ubriacone. Questa visita fu molto breve, ma immerse il piccolo principe in una grande malinconia.
"Che cosa fai?" chiese all'ubriacone che stava in silenzio davanti a una collezione di bottiglie vuote e a una collezione di bottiglie piene.

"Bevo" rispose, in tono lugubre, l'ubriacone.
"Perché bevi?" domandò il piccolo principe.
"Per dimenticare", rispose l'ubriacone.
"Per dimenticare che cosa?" s'informò il piccolo principe che cominciava già a compiangerlo.
"Per dimenticare che ho vergogna", confessò l'ubriacone abbassando la testa.
"Vergogna di che?" insistette il piccolo principe che desiderava soccorrerlo.
"Vergogna di bere!" e l'ubriacone si chiuse in un silenzio definitivo.
Il piccolo principe se ne andò perplesso.
I grandi, decisamente, sono molto, molto bizzarri, si disse durante il viaggio.


XIII

Il quarto pianeta era abitato da un uomo d'affari. Questo uomo era così occupato che non alzò neppure la testa all'arrivo del piccolo principe.
"Buon giorno", gli disse questi. "La vostra sigaretta si è spenta".
"Tre più due fa cinque. Cinque più sette: dodici. Dodici più tre: quindici. Buon giorno. Quindici più sette fa ventidue. Ventidue più sei: ventotto. Non ho tempo per riaccenderla. Ventisei più cinque trentuno. Ouf! Dunque fa cinquecento e un milione seicento ventiduemila settecento trentuno".
"Cinquecento e un milione di che?"
"Hem! Sei sempre lì? Cinquecento e un milione di ... non lo so più. Ho talmente da fare! Sono un uomo serio, io, non mi diverto con delle frottole! Due più cinque: sette..."
"Cinquecento e un milione di che?" ripetè il piccolo principe che mai aveva rinunciato a una domanda una volta che l'aveva espressa.
L'uomo d'affari alzò la testa:
"Da cinquantaquattro anni che abito in questo pianeta non sono stato disturbato che tre volte. La prima volta è stato ventidue anni fa, da una melolonta che era caduta chissà da dove. Faceva un rumore spaventoso e ho fatto quattro errori in una addizione. La seconda volta è stato undici anni fa per una crisi di reumatismi. Non mi muovo mai, non ho il tempo di girandolare. Sono un uomo serio, io. La terza volta ... eccolo! Dicevo dunque cinquecento e un milione".
"Milione di che?"
L'uomo d'affari capì che non c'era speranza di pace.
"Milioni di quelle piccole cose che si vedono qualche volta nel cielo".
"Di mosche?"
"Ma no, di piccole cose che brillano".
"Di api?"
"Ma no. Di quelle piccole cose dorate che fanno fantasticare i poltroni. Ma sono un uomo serio, io! Non ho il tempo di fantasticare".
"Ah! di stelle?"
"Eccoci. Di stelle".
"E che ne fai di cinquecento milioni di stelle?"
"Cinquecento e un milione seicentoventiduemilasettecentotrentuno. Sono un uomo serio io, sono un uomo preciso."
"E che te ne fai di queste stelle?"
"Che cosa me ne faccio?"
"Si".
"Niente. Le possiedo io".
"Tu possiedi le stelle?"
"Si".

"Ma ho già veduto un re che..."
"I re non possiedono. Ci regnano sopra. È molto diverso".
"E a che ti serve possedere le stelle?"
"MI serve ad essere ricco".
"E a che ti serve essere ricco?"
"A comperare delle altre stelle, se qualcuno ne trova".
Questo qui, si disse il piccolo principe, ragiona un pò come il mio ubriacone.
Ma pure domandò ancora:
"Come si può possedere le stelle?"
"Di chi sono?" rispose facendo stridere i denti l'uomo d'affari.
"Non lo so, di nessuno".
"Allora sono mie che vi ho pensato per il primo".
"E questo basta?"
"Certo. Quando trovi un diamante che non è di nessuno, è tuo. Quando trovi un'isola che non è di nessuno, è tua. Quando tu hai un'idea per il primo, la fai brevettare, ed è tua. E io possiedo le stelle, perché mai nessuno prima di me si è sognato di possederle".
"Questo è vero", disse il piccolo principe. "Che te ne fai?"
"Le amministro. Le conto e le riconto", disse l'uomo d'affari. "È una cosa difficile, ma io sono un uomo serio!"
Il piccolo principe non era ancora soddisfatto.
"Io, se possiedo un fazzoletto di seta, posso metterlo intorno al collo e portarmelo via. Se possiedo un fiore, posso cogliere il mio fiore e portarlo con me. Ma tu non puoi cogliere le stelle".
"No, ma posso depositarle alla banca".
"Che cosa vuol dire?"
"Vuol dire che scrivo su un pezzetto di carta il numero delle mie stelle e poi chiudo a chiave questo pezzetto di carta in un cassetto".
"Tutto qui?"
"È sufficiente".
È divertente, pensò il piccolo principe, e abbastanza poetico. Ma non è molto serio. Il piccolo principe aveva sulle cose serie delle idee molto diverse da quelle dei grandi.
"Io", disse il piccolo principe, "possiedo un fiore che innaffio tutti i giorni. Possiedo tre vulcani dei quali spazzo il camino tutte le settimane. Perché spazzo il camino anche di quello spento. Non si sa mai. È utile ai miei vulcani, ed è utile al mio fiore che io li possegga. Ma tu non sei utile alle stelle..."
L'uomo d'affari aprì la bocca ma non trovò niente da rispondere e il piccolo principe se ne andò .
Decisamente i grandi sono proprio straordinari, si disse semplicemente durante il viaggio.


XIV

Il quinto pianeta era molto strano. Vi era appena il posto per sistemare un lampione e l'uomo che l'accendeva.
Il piccolo principe non riusciva a spiegarsi a che potessero servire, spersi nel cielo, si di un pianeta senza case, senza abitanti, un lampione e il lampionaio. Eppure si disse:
"Forse quest'uomo è veramente assurdo. Però è meno assurdo del re, del vanitoso, dell'uomo d'affari e dell'ubriacone. Almeno il suo lavoro ha un senso. Questo accende il suo lampione, è come se facesse nascere una stella in più, o un fiore. Quando lo spegne addormenta il fiore o la stella. È una bellissima occupazione, ed è veramente utile, perché è bella".
Salendo sul pianeta salutò rispettosamente l'uomo:
"Buon giorno. Perché spegni il tuo lampione?"
"È la consegna" rispose il lampionaio. "Buon giorno".
"Che cos'è la consegna?"
"È di spegnere il mio lampione. Buona sera".
E lo riaccese.
"E adesso perché lo riaccendi?"
"È la consegna".
"Non capisco", disse il piccolo principe.
"Non c'è nulla da capire", disse l'uomo, "la consegna è la consegna. Buon giorno". E spense il lampione. Poi si asciugò la fronte con un fazzoletto a quadri rossi.
"Faccio un mestiere terribile. Una volta era ragionevole. Accendevo al mattino e spegnevo alla sera, e avevo il resto del giorno per riposarmi e il resto della notte per dormire..."

"E dopo di allora è cambiata la consegna?"
"La consegna non è cambiata", disse il lampionaio, "è proprio questo il dramma. Il pianeta di anno in anno ha girato sempre più in fretta e la consegna non è stata cambiata!"
"Ebbene?" disse il piccolo principe.
"Ebbene, ora che fa un giro al minuto, non ho più un secondo di riposo. Accendo e spengo una volta al minuto!"
"È divertente! I giorni da te durano un minuto!"
"Non è per nulla divertente", disse l'uomo.
"Lo sai che stiamo parlando da un mese?"
"Da un mese?"
"Si. Trenta minuti: trenta giorni!. Buona sera".
E riaccese il suo lampione.
Il piccolo principe lo guardò e sentì improvvisamente di amare questo uomo che era così fedele alla sua consegna. Si ricordò dei tramonti che lui stesso una volta andava a cercare, spostando la sua sedia. E volle aiutare il suo amico:
"Sai ... conosco un modo per riposarti quando vorrai ..."
"Lo vorrei sempre", disse l'uomo.
Perché si può essere nello stesso tempo fedeli e pigri.
E il piccolo principe continuò:
"Il tuo pianeta è così piccolo che in tre passi ne puoi fare il giro. Non hai che da camminare abbastanza lentamente per rimanere sempre al sole. Quando vorrai riposarti camminerai e il giorno durerà finché tu vorrai".
"Non mi serve a molto", disse l'uomo. "Ciò che desidero soprattutto nella vita è di dormire".
"Non hai fortuna", disse il piccolo principe.
"Non ho fortuna", rispose l'uomo. "Buon giorno".
E spense il suo lampione.
Quest'uomo, si disse il piccolo principe, continuando il suo viaggio, quest'uomo sarebbe disprezzato da tutti gli altri , dal re, dal vanitoso, dall'ubriacone, dall'uomo d'affari. Tuttavia è il solo che non mi sembri ridicolo. Forse perché si occupa di altro che non di se stesso.
Ebbe un sospiro di rammarico e si disse ancora:
Questo è il solo di cui avrei potuto farmi un amico. Ma il suo pianeta è veramente troppo piccolo non c'è posto per due... Quello che il piccolo principe non osava confessare a se stesso, era che di questo pianeta benedetto rimpiangeva soprattutto i millequattrocentoquaranta tramonti nelle ventiquattro ore.

XV

Il sesto pianeta era dieci volte più grande. Era abitato da un vecchio signore che scriveva degli enormi libri.
"Ecco un esploratore", esclamò quando scorse il piccolo principe.
Il piccolo principe si sedette sul tavolo ansimando un poco. Era in viaggio da tanto tempo.
"Da dove vieni?" gli domandò il vecchio signore.
"Che cos'è questo grosso libro?" disse il piccolo principe. "Che cosa fate qui?"
"Sono un geografo", disse il vecchio signore.
"Che cos'è un geografo?"
"È un sapiente che sa dove si trovano i mari, i fiumi, le città, le montagne e i deserti".
"È molto interessante", disse il piccolo principe, "questo finalmente è un vero mestiere!"
E diede un'occhiata tutto intorno sul pianeta del geografo. Non aveva mai visto fino ad ora un pianeta così maestoso.
"È molto bello il vostro pianeta. Ci sono degli oceani?"
"Non lo posso sapere", disse il geografo.
"Ah! (il piccolo principe fu deluso) E delle montagne?"

"Non lo posso sapere", disse il geografo.
"E delle città e dei fiumi e dei deserti?"
"Neppure lo posso sapere", disse il geografo.
"Ma siete un geografo!"
"Esatto", disse il geografo, "ma non sono un esploratore. Manco completamente di esploratori. Non è il geografo che va a fare il conto delle città, dei fiumi, delle montagne, dei mari, degli oceani e dei deserti. Il geografo è troppo importante per andare in giro. Non lascia mai il suo ufficio, ma riceve gli esploratori, li interroga e prende degli appunti sui loro ricordi. E se i ricordi di uno di loro gli sembrano interessanti, il geografo fa fare un'inchiesta sulla moralità dell'esploratore".
"Perchè?"
"Perché se l'esploratore mentisse porterebbe una catastrofe nei libri di geografia. Ed anche un esploratore che bevesse troppo".
"Perchè?"
"Perché gli ubriachi vedono doppio e allora il geografo si annoterebbe due montagne là dove ce n'è una sola".
"Io conosco qualcuno" disse il piccolo principe, "che sarebbe un cattivo esploratore".
"È possibile. Dunque, quando la moralità dell'esploratore sembra buona, si fa un'inchiesta sulla sua scoperta".
"Si va a vedere?".
"No, è troppo complicato. Ma si esige che l'esploratore fornisca le prove. Per esempio, se si tratta di una grossa montagna, si esige che riporti delle grosse pietre".
All'improvviso il geografo si commosse.
"Ma tu, tu vieni da lontano! Tu sei un esploratore! Mi devi descrivere il tuo pianeta!"
E il geografo, avendo aperto il suo registro, temperò la sua matita. I resoconti degli esploratori si annotano da prima a matita, e si aspetta per annotarli a penna che l'esploratore abbia fornito delle prove.
"Allora?" interrogò il geografo.
"Oh! da me", disse il piccolo principe, "non è molto interessante, è talmente piccolo. Ho tre vulcani, due in attività e uno spento. Ma non si sa mai".
"Non si sa mai", disse il geografo.
"Ho anche un fiore".
"Noi non annotiamo i fiori", disse il geografo.
"Perchè? Sono la cosa più bella".
"Perché i fiori sono effimeri".
"Che cosa vuol dire <effimero>?"
"Le geografie", disse il geografo, "sono i libri più preziosi fra tutti i libri. Non passano mai di moda. È molto raro che una montagna cambi di posto. È molto raro che un oceano si prosciughi. Noi descriviamo delle cose eterne".
"Ma i vulcani spenti si possono risvegliare", interruppe il piccolo principe. "Che cosa vuol dire <effimero>?"
"Che i vulcani siano spenti o in azione, è lo stesso per noi", disse il geografo. "Quello che conta per noi è il monte, lui non cambia".
"Ma che cosa vuol dire <effimero>?" ripetè il piccolo principe che in vita sua non aveva mai rinunciato a una domanda una volta che l'aveva fatta.
"Vuol dire <che è minacciato di scomparire in un tempo breve>".
"Il mio fiore è destinato a scomparire presto?"
"Certamente".
Il mio fiore è effimero, si disse il piccolo principe, e non ha che quattro spine per difendersi dal mondo! E io l'ho lasciato solo!
E per la prima volta si sentì pungere dal rammarico. Ma si fece coraggio:
"Che cosa mi consigliate di andare a visitare?"
"Il pianeta Terra", gli rispose il geografo. "Ha una buona reputazione..."
E il piccolo principe se ne andò pensando al suo fiore.


XVI

ll settimo pianeta fu dunque la Terra.
La Terra non è un pianeta qualsiasi! Ci si contano cento e undici re (non dimenticando, certo, i re negri!), settemila geografi, novecentomila uomini d'affari, sette milioni e mezzo di ubriaconi, trecentododici milioni di vanitosi, cioè due miliardi circa di adulti.
Per darvi un'idea delle dimensioni della Terra, vi dirò che prima dell'invenzione dell'elettricità bisognava mantenere, sull'insieme dei sei continenti, una vera armata di quattrocentosessantaduemila e cinquecentoundici lampionai per accendere i lampioni.
Visto un pò da lontano faceva uno splendido effetto. I movimenti di questa armata erano regolati come quelli di un balletto d'opera.
Prima c'era il turno di quelli che accendevano i lampioni della Nuova Zelanda e dell'Australia. Dopo di che, questi, avendo accesi i loro lampioni, se ne andavano a dormire. Allora entravano in scena quelli della Cina e della Siberia. Poi anch'essi se la battevano fra le quinte.
Allora veniva il turno dei lampionai della Russia e delle Indie. Poi di quelli dell'Africa e dell'Europa. Poi di quelli dell'America del Sud e infine di quelli dell'America del Nord.
E mai che si sbagliassero nell'ordine di entrata in scena.
Era grandioso.

XVII

Capita a volte, volendo fare dello spirito, di mentire un pò. Non sono stato molto onesto parlandovi degli uomini che accendono i lampioni. Rischio di dare a quelli che non lo conoscono una falsa idea del nostro pianeta. Gli uomini occupano molto poco posto sulla Terra.
Se i due miliardi di abitanti che popolano la Terra stessero in piedi e un pò serrati, come per un comizio, troverebbero posto facilmente in una piazza di ventimila metri di lunghezza per ventimila metri di larghezza. Si potrebbe ammucchiare l'umanità su un qualsiasi isolotto del Pacifico.
Naturalmente i grandi non vi crederebbero.
Si immaginano di occupare molto posto. Si vedono importanti come dei baobab. Consigliategli allora di fare dei calcoli, adorano le cifre e gli piacerà molto. Ma non perdete il vostro tempo con questo pensiero, è inutile, visto che avete fiducia in me.
Il piccolo principe, arrivato sulla Terra, fu molto sorpreso di non vedere nessuno. Aveva già paura di essersi sbagliato di pianeta, quando un anello del colore della luna si mosse nella sabbia.
"Buona notte", disse il piccolo principe a buon conto.
"Buona notte", disse il serpente.
"Su quale pianeta sono sceso?" domandò il piccolo principe.
"Sulla Terra, in Africa", rispose il serpente.
"Ah!.. Ma non c'è nessuno sulla Terra?"
"Qui è un deserto. Non c'è nessuno nei deserti. La Terra è grande", disse il serpente.
Il piccolo principe sedette su una pietra e alzò gli occhi verso il cielo:
"Mi domando", disse, "se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua. Guarda il mio pianeta, è proprio sopra di noi... Ma come è lontano!"
"È bello", disse il serpente, "ma che cosa sei venuto a fare qui?"
"Ho avuto delle difficoltà con un fiore", disse il piccolo principe.
"Ah!" fece il serpente.
E rimasero in silenzio.
"Dove sono gli uomini?" riprese dopo un pò il piccolo principe. "Si è un pò soli nel deserto..."
"Si è soli anche con gli uomini", disse il serpente.
Il piccolo principe lo guardò a lungo.
"Sei un buffo animale", gli disse alla fine, "sottile come un dito!..."
"Ma sono più potente di un dito di un re", disse il serpente.

Il piccolo principe sorrise:
"Non mi sembri molto potente... non hai neppure delle zampe... e non puoi neppure camminare..."
"Posso trasportarti più lontano che un bastimento", disse il serpente.
Si arrotolò attorno alla caviglia del piccolo principe come un braccialetto d'oro:
"Colui che tocco, lo restituisco alla terra da dove è venuto. Ma tu sei puro e vieni da una stella..."
Il piccolo principe non rispose.
"Mi fai pena, tu così debole, su questa Terra di granito. Potrò aiutarti un giorno se rimpiangerai troppo il tuo pianeta. Posso..."
"Oh! Ho capito benissimo", disse il piccolo principe, "ma perché parli sempre per enigmi?"
"Li risolvo tutti", disse il serpente.
E rimasero in silenzio.

XVIII

Il piccolo principe traversò il deserto e non incontrò che un fiore. Un fiore a tre petali, un piccolo fiore da niente...
"Buon giorno", disse il piccolo principe.
"Buon giorno", disse il fiore.
"Dove sono gli uomini?" domandò gentilmente il piccolo principe.
Un giorno il fiore aveva visto passare una carovana:
"Gli uomini? Ne esistono, credo, sei o sette. Li ho visti molti anni fa. Ma non si sa mai dove trovarli. Il vento li spinge qual e là. Non hanno radici, e questo li imbarazza molto".
"Addio", disse il piccolo principe.
"Addio", disse il fiore.
 
XIX

Il piccolo principe fece l'ascensione di un'altra montagna.
Le sole montagne che avesse mai visto, erano i tre vulcani che gli arrivavano alle ginocchia. E adoperava il vulcano spento come uno sgabello.
"Da una montagna alta come questa", si disse perciò, "vedrò di un colpo tutto il pianeta e tutti gli uomini..." Ma non vide altro che guglie di roccia ben affilate.
"Buon giorno", disse a caso.
"Buon giorno... buon giorno... buon giorno..." rispose l'eco.
"Chi siete?" disse il piccolo principe.
"Chi siete?... chi siete?... chi siete?..." rispose l'eco.
"Siate miei amici, io sono solo", disse.
"Io sono solo... io sono solo... io sono solo..." rispose l'eco.
"Che buffo pianeta", pensò allora, "è tutto secco, pieno di punte e tutto salato. E gli uomini mancano d'immaginazione. Ripetono ciò che loro si dice... Da me avevo un fiore e parlava sempre per primo...".


XX

Ma capitò che il piccolo principe avendo camminato a lungo attraverso le sabbie, le rocce e le nevi, scoperse alla fine una strada. E tutte le strade portavano verso gli uomini.
"Buon giorno", disse.
Era un giardino fiorito di rose.
"Buon giorno", dissero le rose.
Il piccolo principe le guardò.
Assomigliavano tutte al suo fiore.
"Chi siete?" domandò loro stupefatto il piccolo principe.
"Siamo delle rose", dissero le rose.
"Ah!" fece il piccolo principe.
E si sentì molto infelice. Il suo fiore gli aveva raccontato che era il solo della sua specie in tutto l'universo. Ed ecco che ce n'erano cinquemila, tutte simili, in un solo giardino.
"Sarebbe molto contrariato", si disse, "se vedesse questo... Farebbe del gran tossire e fingerebbe di morire per sfuggire al ridicolo. Ed io dovrei far mostra di curarlo, perché se no, per umiliarmi, si lascerebbe veramente morire..."
E si disse ancora: "Mi credevo ricco di un fiore unico al mondo, e non possiedo che una qualsiasi rosa. Lei e i miei tre vulcani che mi arrivano alle ginocchia, e di cui l'uno, forse, è spento per sempre, non fanno di me un principe molto importante...".
E, seduto nell'erba, piangeva.

Continuazione »




Categoria: Libreria | Aggiunto da: paradisiverdi
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