La teoria che ha per oggetto uno tra i più interessanti fenomeni della
psiche, la dissonanza cognitiva, fu elaborata nel 1957 dallo psicologo
americano Leon Festinger.
Ha a che fare con quell’insieme di
opinioni, credenze e conoscenze che ognuno di noi possiede e che,
normalmente e in situazione di equilibrio, dovrebbero essere in corenza
tra loro.
L’armonia tra esse è indispensabile, tanto che se non ci fosse non sarebbe garantita una situazione di stabilità psichica.
Se
una di queste credenze entra in conflitto con le altre e l’equilibrio
viene alterato, l’individuo è costretto ad adottare una soluzione per
ripristinare l’armonia. Può ad esempio modificare una o l’altra
credenza, oppure cambiare la propria percezione della realtà, in modo
da eliminare la fonte di disagio.
Il fenomeno è più comune di
quanto si creda: se siamo contro il furto, ma al contempo desiderosi di
acquistare una merce di dubbia origine, di alto valore ma a basso
prezzo, è possibile che dentro di noi sorga una sensazione di disagio.
Se l’imbarazzo è di grande intensità, è probabile che il meccanismo di
difesa innescato sia addirittura teso a reinterpretare la realtà. Fino
a quando non sarà eliminata l'incoerenza, continueremo i tentativi di
modificare la nostra percezione, in attesa di uscire dalla condizione
di disagio e di imbarazzo.
E’ forse questo quello che ci
accade osservando una delle trasmissioni televisive più apprezzate
degli ultimi anni: La prova del cuoco.
Ci sembra di provare un
vago senso di attesa. Aspettiamo forse che qualcuno ci tiri fuori da
quella fastidiosa situazione di imbarazzo, da un prurito ansioso, come
quello che si prova ogni volta che si assiste a una gaffe, desiderando
di tutto cuore che qualcuno faccia qualcosa per riparare il danno.
Lo
spettacolo di cui si parla è pervaso da intensi momenti di allegria e
simpatia dispensati da cuochi spiritosi che affettano, impastano,
sfornano e assaggiano assortiti manicaretti presentati con raffinata
eleganza. Il tutto è inframmezzato dalle scenette di Beppe Bigazzi al
sapore di saggezza popolare e dai sorrisi radiosi di Antonella Clerici.
La patina di buonumore con cui cercano di intrattenerci ci distrae
facilmente, impossibile non farsi trasportare.
Tuttavia, se ci
impegniamo a non farci incantare e riusciamo a grattare via la
superficie, è possibile far emergere lo sfondo, un po’ più cupo della
velatura che ci colpisce al primo impatto. Ha un volto scarcastico, che
rende tristemente fuori luogo la tenera spensieratezza di cui si
ammanta.
Osserviamo. Un brillante cuoco affetta del manzo
su un tavolo. Dalla finestrella della scenografia, alle spalle degli
attori, spunta la testa di una mucca di plastica, un volto animale
umanizzato, che infatti sorride. Due mucche. Una, sul tavolo, smembrata. L’altra, dalla finestra, che sorride. Una, quella sul tavolo, morta, ma vera. L’altra, dalla finestra, felice, ma finta. Alla
prova del cuoco siamo circondati da animali artificiali che ci
sorridono, mentre tagliamo, manipoliamo e mangiamo i loro
corrispondenti corpi reali.
Osserviamo ancora. Antonella
Clerici sta cucinando carne dentro una pentola che bolle. Mentre il
pezzo galleggia nel suo contenitore caldo, compare un'immagine in
sovraimpressione: è un coniglio, sorride anch'esso umanamente, si muove
al ritmo della musichetta che sentiamo in sottofondo. I bambini del
pubblico ballano, la conduttrice sfoggia un sorriso d'anguria, la cuoca
che affianca la presentatrice affetta e si muove meticolosamente in
cucina. Il pezzo di carne cuoce nella pentola, dalla quale escono
sbuffi di vapore. Il coniglio salta e ride in sovraimpressione. La
carne poi finisce nella bocca della Clerici che la assaggia estasiata.
Nessuno si accorge della sarcastica situazione. Non
suscita imbarazzo il contrasto tra un’iconografia che riproduce animali
gioiosi e la presenza, sopra i tavoli della scenografia, dei corpi di
quegli stessi animali, annientati, a pezzi, maneggiati, tagliati e
assaggiati. Nessuno riflette sul fatto che la carne che stanno
cucinando forse contiene ancora l’adrenalina dell’animale che ha
provato l’esperienza della macellazione. La sua adrenalina, il suo
trauma, non trova riscontro nel volto umanizzato della mucca finta
riprodotta nella scenografia.
Forse è questa la più difficile
prova di questo cuoco: come è possibile non accorgersi, non rendersi
conto di quanto sia imbarazzante tale beffarda incoerenza? Eppure
sembra così banale, nella sua tristezza!
Mi è impossibile
rispondere, ma non posso nemmeno gioire e canticchiare, insieme a nonna
Pina, la bontà delle tagliatelle al ragù, facendo finta che quel ragù
non consista nelle briciole del corpo di quello stesso animale, la
mucca, che, onestamente non ne capisco il motivo, sorride, insieme a
tutti gli altri animali, nella patinata scenografia del programma.
Articolo di: Antonella Corabi Consapevolmente
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